giovedì 1 febbraio 2024

Sull'amore. Le pagine più sublimi che abbia mai letto.

Che cos'è l'amore.

[...] Avanziamo ora nell' oscurità, inciampando sulle grandi pietre, attraverso pozzanghere lunghe dei metri, che costellano la strada d'accesso. Le sentinelle non smettono di urlare e ci spingono avanti con il calcio dei fucili. Chi ha i piedi coperti da troppe ferite si appoggia al braccio del vicino i cui piedi sono meno dolenti. Non parliamo quasi; il gelido vento dell'alba lo sconsiglia. La bocca nascosta dal bavero rialzato della giacca, il compagno che cammina accanto a me sussurra d'un tratto: "Tu, se le nostre mogli ci vedessero ora...! Spero che nei loro Lager stiano meglio di noi. Vorrei che non sospettassero neppure che cosa ci succede". Improvvisamente, ho di fronte l'immagine di mia moglie. Mentre inciampiamo per chilometri, guardiamo la neve o scivoliamo su lastre ghiacciate, sempre sorreggendoci a vicenda, aiutandoci gli uni gli altri e trascinandoci avanti, nessuno parla più, ma sappiamo bene che ognuno di noi pensa a sua moglie. Di tanto in tanto guardo il cielo, dove impallidiscono le stelle, o là, dove comincia l'alba, dietro una scura cortina di nubi: ma il mio spirito è ora tutto preso dalla figura che si racchiude nella mia fantasia straordinariamente accesa e della quale non ho mai avuto sentore prima, nella vita normale. Parlo con mia moglie. La sento rispondere, la vedo sorridere dolcemente, vedo il suo sguardo e - corporeo o meno - il suo sguardo brilla più del sole che si leva in questo momento. D'un tratto, un pensiero mi fa sussultare: per la prima volta nella mia vita, provo la verità di ciò che per molti pensatori è stato il culmine della saggezza, di ciò che molti poeti hanno cantato; sperimento in me la verità che l'amore è, in un certo senso, il punto finale, il più alto al quale l'essere umano possa innalzarsi. Comprendo ora il senso del segreto più sublime che la poesia, il pensiero umano ed anche la fede possono offrire: la salvezza delle creature attraverso l'amore e nell'amore! Capisco che l'uomo, anche quando non gli resta niente in questo mondo, può sperimentare la beatitudine suprema - sia pure solo per qualche attimo - nella contemplazione interiore dell'essere amato. Nella situazione esterna più misera che si possa immaginare, nella condizione di non potersi esprimere attraverso l'azione, quando la sola cosa che si possa fare è sopportare il dolore con dirittura, sopportarlo a testa alta, ebbene, anche allora, l'uomo può realizzarsi in una contemplazione amorosa, nella contemplazione dell'immagine spirituale della persona amata che porta in sé. Per la prima volta nella mia vita sono in grado di capire ciò che si intende quando si dice: gli angeli sono beati nell'infinita, amorevole contemplazione di uno splendore infinito...
Davanti a me cade un compagno; quelli che gli marciano dietro, cadono anche loro. La sentinella accorre e li bastona senza pietà. La mia vita contemplativa è interrotta per qualche secondo, ma subito dopo la mia anima si innalza, si eleva nuovamente dalla mia esistenza di internato ad un mondo sovrumano e riprende il dialogo con l'essere amato: io chiedo - lei risponde, lei domanda - rispondo io. "Alt!". Siamo arrivati al cantiere. "Ognuno vada a prendere i suoi arnesi; ognuno prenda piccone e badile". E tutti si precipitano in una capanna buia per riuscire a prendere una vanga maneggevole e un solido rampone. "Vi decidete a fare presto, porci?" Il terreno ghiacciato si scheggia sotto la punta del piccone, sprizzano scintille. I cervelli non si sgelano ancora, i compagni tacciono: il mio spirito è preso ancora dall'immagine della persona amata. Io parlo con lei, lei parla con me. In quell'attimo mi turba un pensiero: non so affatto se mia moglie sia viva. E capisco una cosa - l'ho imparata in questo momento: l'amore non si riferisce affatto all'esistenza corporea di una persona, ma intende con profondità straordinaria l'essere spirituale della creatura amata: il suo "essere così" (come dicono i filosofi). Sono del tutto fuori causa la sua "esistenza", il suo essere-qui-con-me, perfino la sua vita fisica, il suo essere-in-vita. Se la persona amata sia viva o no, io lo ignoro, né lo verrò a sapere (durante tutto l'internamento non potemmo scrivere né ricevere lettere), ma in questo momento ciò non ha alcuna importanza. Che la persona amata sia viva o no, non ha alcuna importanza. Che la persona amata sia viva o no, non ho quasi bisogno di saperlo: tutto questo non riguarda il mio amore, il mio pensiero amoroso, la contemplazione amorosa della sua immagine spirituale. Se avessi saputo che mia moglie era morta, credo che questa consapevolezza non m'avrebbe affatto turbato: avrei continuato nell'amorosa contemplazione, i miei dialoghi spirituali sarebbero stati ugualmente intensi, m'avrebbero dato la stessa pienezza. In quell'attimo scoprii la verità di quelle parole del Cantico dei Cantici:

Mettimi come sigillo sopra il tuo cuore
...
Poiché forte come la morte è l'amore (VIII, 6)


Tratto da "Uno psicologo nei lager"
di Victor Emil Frankl 
(pp. 54, 55, 56)
Ed. FrancoAngeli, collana Semi

sabato 22 aprile 2023

"...e procede dal Padre e dal Figlio" (ovvero, ci si ama solo nella verità)

"Credo nello Spirito Santo, il quale procede dal Padre e dal Figlio": l'ho ripetuto mille volte, meccanicamente, senza comprendere il profondo significato. Eppure vi è insita la visione teologica che i cattolici hanno della ragione e dell'amore, dell'intelligenza e della volontà.
Di fronte all'episodio della donna rumena che con la Fiv (fecondazione in vitro ndr) a 67 anni ha avuto due figli, uno dei quali morto subito, l'altro fortemente sottopeso, sentiamo immediatamente che qualcosa non funziona. Il problema, il difficile, è che quel qualcosa è apparentemente amore, desiderio di una donna di essere madre. Come può l'amore avere in sé qualcosa di negativo? 
"Ama et fac quod vis", diceva Sant'Agostino: "Ama e fa ciò che vuoi". Eppure non c'è nulla di più distante dalla morale di questa frase, se non è ben compresa. Perché nel ciò che vuoi rientrano l'egoismo, la superbia, l'affermazione smodata del proprio io. Posso fare ciò che voglio solo se sono capace di amare, di uscire di uscire da me stesso, perché in tal caso non urterò mai il bene del mio prossimo. Il sacrificio è appunto questo: amore di un altro reso sacro dalla capacità di dimenticare il proprio io. I nove mesi in cui una donna aspetta un bimbo sono intessuti di gioia e di sacrificio, e le doglie di un parto sono la modalità naturale di un amore che prende forma, diviene addirittura carne, nella persona del figlio. Per questo l'amore è più grande anche della Fede. Ma procede dal Padre e dal Figlio,  e cioè ancorato alla Sapienza. È fondato sulla Sapienza, così come la volontà deve fondarsi sull'intelligenza. Prima di operare occorre distinguere ciò che è bene e ciò che è male, perché la volontà, che ama e persegue si applichi al vero fine della sua tensione. Il trionfo della volontà, separata dalla ragione, è l'affermazione della volontà come potenza, come dominio, come violenza. Per questo non è amore vero. Se il centro è l'io che reclama, e non il figlio che verrà, quest'amore è, più propriamente, ricerca di se stessi, come un rapporto che resiste solo fino al momento in cui entrambi traggono, reciprocamente, una soddisfazione, fisica o psicologica, personale. L'amore è quindi legato alla sapienza, alla verità. È amore nella verità.

(Questo brano è tratto dal libro di Francesco Agnoli "Controriforme - Antitodi al pensiero scientista e nichilista" edito da Fede & Cultura. Titolo del Capitolo "Le mamme nonne e lo Spirito Santo")

giovedì 21 luglio 2022

"Qualsiasi cosa tu faccia, metti davanti a te il pensiero della morte"

Cari amici, quello di mettere qui su questo mio piccolo spazio un'intervista è un gesto che per quanto semplice vuole invece essere un dono prezioso per tutti voi. Sono le parole di Verità e di Pace che possono sgorgare solo da un cuore in conversione, che ha conosciuto il travaglio e la gioia di una vita vera, sono le parole pronunciate da un "io rinnovato" nello Spirito, sull'esempio dell'Uomo nuovo, quell'Umanità Cristica a cui tutti noi, specialmente in questa epoca di rivolgimenti e sconvolgimenti apocalittici, siamo chiamati ad aderire.
"Nulla è impossibile a Dio". 
Quando ascolterete queste parole, pronunciate dall'Angelo a Maria e riprese nell'intervista da padre Guidoalberto Bormolini, mettete stop al video e concedetevi dei minuti di riflessione sulla vostra vita. 
Quello a cui siamo giunti, come umanità, oggi, è l'aver smesso di credere l'impossibile come possibile. Ridurre l'Uomo a questo, a fargli credere che tutto ciò che esiste è solo ed unicamente la vita materiale, è stato il grande capolavoro delle tenebre. Per esempio il credere che la morte sia il contrario della vita, quando in realtà la morte è parte della vita, sta dentro alla vita. Esercitiamoci in questa riflessione, potremmo stupirci un giorno nel constatare la rivoluzione intervenuta a trasformare la nostra vita. Per chi si affida a Dio, totalmente, c'è una certezza, c'è la vita.
Buona visione

venerdì 17 giugno 2022

Esco da facebook, definitivamente.

Cari amici, se non mi trovate più su facebook non vi pigliate collera, come vedete è impossibile "comunicare" attraverso i social. Avevo sospeso per due anni l'account per poi riattivarlo, ma i blocchi sono continuati, nonostante ho sempre e solo fornito dati rispetto alla realtà quotidiana, nessun argomento di fantasia. Ma il risultato è questo. Quindi, essendo ospiti in casa loro, loro dettano le regole, non ci tocca che togliere il disturbo. 

martedì 24 maggio 2022

La Costiera Amalfitana e Gricignano

Gricignano. Che quello rappresentato dietro la sacra effigie di Santa Lucia sia uno scorcio della costiera amalfitana? Questo affresco è del 1610 e si trova nella cappellina dedicata alla Santa in corso Umberto I, a pochi metri dalla chiesa parrocchiale. È stato ipotizzato che il culto di Sant'Andrea a Gricignano sia stato portato nel medioevo da una comunità di artigiani vetrai, forse al seguito di qualche famiglia nobile specializzata nel commercio di tali opere. Infatti molti si sono chiesti di questa singolarità della comunità di Gricignano, dove si venera un santo "pescatore". Forse vi è stato un legame tra i luoghi che è perdurato nei secoli.
In via Selicara, nei pressi della piazza, abbiamo ancora una stradina che ricorda l'ubicazione dei laboratori: Viella Vetrera. Questo se il toponimo si riferisca agli antichi vetrai. Perché il nome di questa stradina potrebbe essere derivato anche da Vetus, Veteris...col significato di "vecchio", magari riferito ad antiche rovine presenti in loco; è proprio qui infatti che furono ritrovate le lapidi funerarie delle due matrone romane Pupia e Cossutia. 
Gricignano vanta non uno ma due santi patroni, Sant'Andrea e Sant'Adiutore, ambedue venerati in quella zona della costiera, Amalfi e Cava de' Tirreni. A Cava addirittura sono in possesso di antichi documenti che attestano che il santo Adiutore sia vissuto "in un paesello nei pressi di Aversa che porta il suo nome". E tutti sappiamo che il il culto di questo santo, uno dei dodici vescovi africani scampati alle persecuzioni di Genserico e approdati miracolosamente sulle coste campane, è antichissimo in Casolla Sant'Adiutore, antico feudo poi accorpato a Gricignano. Se vogliamo andare ancora più lontano, il nome di Cava de' Tirreni ci suggerisce che sia stata fondata dai Tirreni, che altri non erano che gli Etruschi, fondatori delle dodici città con a capo Capua. Di queste dodici città una era Atella, di cui Gricignano e Casolla erano parti integranti.
Questo affresco è stato commissionato, su questo non credo che ci si debba soffermare più di tanto, dall'uomo orante raffigurato ai piedi della Santa ch tutti sappiamo essere la protettrice dei naviganti. Chissà, forse si è trattato di un ex voto per aver scampato ad una tempesta pericolosa incontrata durante la navigazione, in ogni caso dovremmo indagare maggiormente sul legame che questi due territori così distanti e così differenti si ritrovano ad avere. Che il futuro ci riservi delle sorprese belle, noi lo speriamo.

domenica 6 marzo 2022

Il numero "19" per me.

La mia giornata del 3 Marzo è stata caratterizzata dall'aver incontrato il numero "19", ripetutamente, in più occasioni, a partire da alcuni elementi architettonici di edifici che ho osservato nella passeggiata che ho fatto nel centro di Napoli. Il perché oramai abbia preso il vizio di contare davanti agli elementi architettonici è presto detto: l'architettura é una forma di "musica cristallizzata", come i maestri del rinascimento ci hanno insegnato, e per questo ha un linguaggio proprio con cui la si deve leggere per poterla decifrare. Essa ha delle influenze su tutti gli esseri umani che la osservano, agendo sulle anatomie sottili presenti naturalmente in tutti noi. E ovviamente esiste musica bella, divinamente ispirata, così come c'è musica meno bella meno ridondante di armonie celesti. Ma tutte le architetture si basano su numeri, per questo io conto. E gran parte delle opere del passato hanno celato nelle fattezze i numeri che fanno riferimento sempre ed unicamente alla legge dell'ottava, ovvero a quella sintesi di tutte le leggi a cui obbedisce la natura. E questo tipo di sapere è stato tramandato di generazione in generazione ai cosiddetti "iniziati", ovvero a quella categoria di uomini che erano ritenuti degni di un certo sapere (per lo più considerato esoterico) dopo un certo periodo di fecondo "lavoro interiore". Quasi tutti gli architetti del rinascimento erano "iniziati". Le loro opere sono musica cristallizzata ed influenzano i nostri corpi quando siamo a contatto con esse, possiamo esserne o meno consapevoli, ma avviene. Allo stesso modo di come l'agopuntura, straordinario strumento della più antica forma di medicina orientale, agisce sulle anatomie sottili, così l'architettura, e in particolare un certo tipo di architettura, agisce sui nostri corpi facendoci stare bene e in alcuni casi guarendoci. Se non credete a quello che dico, è il caso che approfondiate la tematica.

Venendo al numero 19, colgo l'occasione per pubblicare un breve articolo di Luca Carli sul significato di questo numero e per l'occasione pubblicizzo volentieri il suo lavoro letterario "Discorso con il Fauno, Dio e la Luce"

19 
di Luca Carli


Con la scusa del Covid-19 abbiamo sentito citare spesso il numero 19, nei notiziari o tra amici, nei discorsi da bar o nei nostri pensieri. Magari ignari del suo significato Numerologico ci siamo lasciati inondare da questo numero così potente.

Per fortuna!

Il 19 è un numero karmico e rappresenta il Guerriero Spirituale, colui che avanza solitario verso la Montagna Sacra del suo Destino, verso un compimento della sua natura terrena e una riunione con lo Spirito.

L’incontro tra Spirito e Materia avviene nel Cuore e in particolare nel Coraggio che si dimostra a lasciare una Via conosciuta per avventurarsi in un un Futuro invisibile ma che attira a sé.

Il 19 attraversa il buio e se ne frega delle luci sfavillanti del mondo mondano, dei Dpcm o delle dichiarazioni di chi vive nella Mente più che nel Corpo.
Il 19 si dimostra sereno nel suo avanzare, senza paura del giudizio altrui ma interessato solo a scoprire cosa c’è più in là, liberare e liberarsi dei legacci del passato, spezzare le catene dell’orgoglio e dell’ego per aprire le Vie alle potenze Spirituali in sé stesso.

Il 19 come l’11 si fa canale, ma non canalizza con le parole, bensì con le Azioni, spiazzanti e vigorose. È pur sempre un 1 nella sua riduzione e quindi è proiettato a seguire il suo istinto ed intuizione.

Vedrai il 19 sempre da lontano, come un faro che illumina la notte, come un Samurai che si volta solo per dire addio.

Così il Covid-19 sembra invitare l’umanità ad un atto di coraggio che, lo sappiamo già, coglieranno in pochi, ma se tra quei pochi ci sarai anche tu sarà la vittoria dello Spirito sulla mente che offende e che divide.

La Forza vitale che abbiamo dentro chiede, esige, di essere svincolata dalle regole mentali e vuole esprimersi per vincere qualsiasi Paura, qualsiasi illusione.
La spada che tiene in mano il Guerriero altro non è che uno specchio in cui riflettere la propria natura essenziale e tramutarla in gesti sacri.

Le azioni sono dirette verso un intento che va al di là di qualsiasi spiegazione razionale…è qualcosa che senti, qualcosa di cui non hai mai parlato a nessuno, qualcosa che sappiamo solo io e te.


sabato 29 maggio 2021

Germogli di Cipressus Sempervirens

In questo vasetto ho adagiato una manciata di semi di Cipresso precedentemente essiccati. nelle foto alcuni Germogli di Cipresso che innaffio con acqua di fonte e tante buone intenzioni. Il seme di Cipresso è conosciuto per la sua bassa germinabilità, e pochi semi schiusi hanno presentato subito alcuni segni di sofferenza, motivo per cui ho adottato una semplice tecnica di elettrocoltura: l'anello di lakhovsky. Un semplice elemento di ramea forma di anello con un lato aperto da rivolgere verso Nord. Dopo le prime 24 ore i germogli sembrano avere già segni di miglioramento, mostrandosi più vigorosi. Da questa tecnica ne subisce giovamento il sistema immunitario delle piantine. Stiamo a vedere come si comporteranno in seguito.

sabato 27 marzo 2021

Pastiera napoletana. "Chesti ccose sapurite, nun se putevano tuccà, nè magnà, primma ra jurnata 'e Pasqua, o sinnò c'ascieva 'o sierpo arinto"

Quattro strisce come gli elementi della terra, che si intrecciano e si fondono con le tre strisce che rappresentano le potenze celesti, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. In totale sette strisce, che non possono non ricordarci che due cose, le sette virtù contemplate dalla nostra religione (contrapposte ad altrettanti vizi) inserite in quel contesto più ampio che conosciamo come legge dell'ottava. La pastiera è un dolce complesso quanto unico, e la sua simbologia ne da testimonianza. Arriva in un periodo importante della vita del cristiano, per gratificare il palato dopo i digiuni e le astinenze offerti in dono a nostro Signore Gesù per il suo sacrificio compiuto per i nostri peccati e per redimerci tutti. Infatti è tradizione che venga preparato il giorno che precede il Venerdi della Passione e consumato la Domenica successiva, dopo i tre giorni che attendono la resurrezione di Cristo. Tre giorni di attesa, in cui ci si astiene, in cui si digiuna, pratica che oggi è praticamente scomparsa (assieme a tante altre cose che riguardano la fede a dire il vero), in cui si accrescono e fortificano le giuste virtù, da coltivare come contrapposizione al "vizio della Gola" soprattutto, da cui originano tutte la passioni tristi figlie della lussuria e della lascivia. Ebbene si, la gola! La Virtù per eccellenza che si contrappone a questo vizio (che qualcuno ha detto essere la segretaria del diavolo) è la "Temperanza" che, tra le altre cose,
la preparazione
ci insegna a non inciampare nella furbizia dei malintenzionati di cui il mondo è pieno (vedi la favoletta sotto riportata).
E dopo il sacrificio c'è anche il momento di gioia, quindi festa. In tutti i sensi.
La bellezza e il sapore sublime di questo dolce lo si può comprendere solo se immersi in una realtà significante come quella della nostra antica tradizione cristiana.
E Napoli e tutto il sud, ovvero tutto il territorio dell'antico reame napoletano, sono stati teatro prediletto del messaggio universalistico portato dal cattolicesimo. D'altronde se non si capisce il cattolicesimo non si può capire Napoli e tutto l'universo che la circonda. Roma è Caput Mundi, Napoli è...Napoli! 

Vi riporto il racconto del lupo e della volpe che cedono alla tentazione della gola entrando furtivamente in un cortile, dove c'era un forno pieno di delizie. E' un adattamento, in chiave napoletana, della famosa favoletta trascritta dai fratelli Grimm, ma di origine molto antica. Soffermatevi per una riflessine, sul verso che dice testualmente "chesti ccose sapurite, nun se putevano tuccà, nè magnà, primma ra jurnata 'e Pasqua, o sinnò c'ascieva 'o sierpo arinto". Un verso che ammonisce proprio per quello che ho scritto sopra. Non a caso la simbologia del serpente compare associata alla tentazione della gola. Personalmente ho avuto la fortuna di ascoltarla, questa favoletta, raccontata da mia mamma, a cui l'ha raccontata la sua mamma, e così via, tramandata oralmente dalla notte dei tempi.


Quella che segue è una variante della favola in versione marcianisana, che ho trovato sul blog "A pippa cecata", molto interessante e divertente.

Buona lettura


Ncè steve na vota, tantu tiempo fa, 'o Gioverì Sante ra simmàna e Pasqua , rinto a tutte e curtigli e Marcianise, ogni bellafemmena faceva, pigne casatell e pastiere pe se mangià 'nzieme a tutta a famiglia soia 'o jiuorne e Pasqua. Quanne tutte cosa sevene pronte e bell cuotte e mbrofumat, chesti cose sapurite, nun se putevano tucca nè mangnà primma ra jurnate e Pasqua, osinò c'ascieva o sierpo arinto!!
Perciò se lassavane arripusà e arrefreddà rinto o furne che, manu mane, s'arrefreddava. Passave pe Puzzanielle na Vorpa vecchia, furba e figlia e zoccala 'nzieme a nu lupo viecchio, 'nzallanute e chine e fracitumme fina a dinta a pont' ra core che le spuntave nculo. Sti dduie cumpari senterene l'addore re pastiere e subbeto penzareno e se 'nfilà rinto 'o furne ancora caurille pe se fà na' bella mangnate e sti cose sapurite, primme che a padrona 'e sfurnave pe s'e' purtà rinte.
Mentre 'o lupo se sbafava a chiù nun pozzo, a volpe ieve ogni tanto a ssà 'affaccià vicina a porte ro furno. 'O lupe c'addummantajie: "pecchè ogni tanto vai llà?" E chesta le rispunnette ca "jieva a fa a uardia pe verè si a patrona steve venenne!"
Comme appena arrivajie a patrona, chesta pigliava na furcina e accumminciava a menà furciniate pe dinte o furne. A volpe che furbamente si era jiute a 'mmusurà si c'a' faceva a 'ascì a rinta a vocca ro furne, subbete se ne fujette, mentr' o lupo, cu chella panza chiatta e chiene e pastiere nun zè nè putette fujì e rimanette llà a pigliàrese tutte e mazzate fin a cchè se facette nu ppoco chiù sicche e sa filaije pure jisso.
E ddujie cumpare se incuntraine foro Puzzanielle, re parte ra Ariola addo mo tene e cane Vicienzo Fretta e a vorpe se facette truva' curcata 'nterre comme si pure jiesse avesse avute cchiù mazzate ro lupe. 'O lupo avette pietà, e cu tutte e mazzate sojie ca' aveva avute, s'a carriava o' stesso nguolle e sa purtaie pa vie 'e Santa Vennera pe s'alluntanà a' rinto 'o paese.
A volpe cantave na lamentela che faceve accussi:
"OLE' OLE' OLE', 'O RUTTO PORTA NGUOLLO 'O SANE!!! OLE' OLE' OLE', 'O RUTTO PORTA NGUOLLO 'O SANE!!!" e 'o lupo c'àddummantajie: "cumma', che state a dicere?" 'A volpe, prontamente, nce ricette : "Stonghe a pregà a Maronne ra Ariola e a Santa Vennera che v'adda rà 'a forze pe me pute' purtà nguolle, pecche stonghe malate e chiena chiena e furciniate arete e rine". E accussì, chianu chiane, arrivaJiene a Santa Vennera cu chillu sceme ro lupo, chine 'e mazzate, che purtaie ncuolle a Vorpe che steve bbona iè 'o sfutteva pure cantanne a canzone : " OLE' OLE' OLE' ...O RUTTO PORTA NGUOLLO 'O SANE "

ps. nella versione gricignanese ovviamente non c'è il riferimento a tutti i toponimi di Marcianise e la filastrocca finale recitata dalla volpe dice testualmente così: "Uller, uller, uller, 'u rutto porta nguollo 'u seno" ecc.

sabato 20 marzo 2021

Il ponte rotto di Capua in Località Triflisco (conosciuto come "Ponte di Annibale")

Allo stato attuale non sono più visibili i suoi resti, sorgeva dove attualmente vi è la diga cosiddetta di Annibale. Nel riquadro in basso uno scritto di Francesco Marchesani pubblicato sul Poliorama Pittoresco.
Antico Ponte Rotto di Capua in località Triflisco



 Aggiunta al post del 17 Luglio 2021
Contrariamente a quanto scritto sopra, dopo averlo scoperto con mio enorme entusiasmo, il ponte rotto di Capua esiste ancora, anche se in parte diroccato e sommerso dalle acque. Lo si può ammirare, non senza difficoltà, alla destra del ponte che congiunge Sant'Angelo in Formis alla località di Triflisco, camminando in direzione Triflisco. Purtroppo il ponte moderno non è stato pensato per la fruibilità dei pedoni, quindi risulta pericoloso sostarvi a piedi causa lo scorrimento delle autovetture. Ma per chi ha l'ardire di fermarsi, magari a bordo di una bicicletta, può fruire della vista dell'antico ponte. Nei giorni scorsi mi sono concesso un viaggio di 50 km (in andata e ritorno) con la bicicletta, una scelta dettata dal desiderio di assaporare il gusto della lentezza, del viaggio che restituisce il profumo delle campagne, della strada, delle masserie e dei borghi, venendo alla fine ben ripagato per la fatica del viaggio con la scoperta del vecchio ponte rotto di Capua, sul quale nessuno più riusciva a darmi informazioni circa la sua originaria collocazione. Mi sono fatto un regalo che la comodità di un viaggio in auto non avrebbe in alcun modo saputo darmi, consegnandomi solo la noia di gesti abitudinari e scontati.
Lasciamo le auto a casa e utilizziamole per lo stretto necessario, camminiamo sempre più a piedi e in bicicletta!

sabato 13 marzo 2021

Quelle strane formazioni nelle campagne di Sant'Agata de Goti. Sono i segni dell'antica Saticula che riaffiorano?

Qualche settimana fa si parlava, con un amico di Sant'Agata de Goti, della presenza dei resti di un acquedotto romano in contrada San Paolo, piccola frazione raggiungibile dalla strada Contrada Piana del Mondo, nei pressi dell'ospedale S. Alfonso Maria de Liguori. Ebbene le tracce dell'acquedotto ci sono tutte, i tombini/pozzi di ispezione sono in parte ben visibili ed ancora utilizzabili per l'estrazione di acqua in varie parti della contrada. Incredibile ma vero. Dalle foto satellitari ho cercato di scorgere i resti dei pozzetti andati perduti e quindi ricostruire l'antico tracciato dell'acquedotto.

Le foto satellitari mostrano abbastanza chiaramente, almeno a chi ha un occhio critico, la difformità di porzioni di terreno quando questi presentano nel sottosuolo antiche rovine. Ci troviamo in una zona di Sant'Agata al confine con il territorio di Frasso Telesino e in questa area sono stati trovati in passato i resti di tombe e insediamenti di età sannitica. E' evidente che le indagini non sono state fatte in modo accurato e sistematico, in quanto è ben possibile notare dalle fotografie satellitari la presenza di resti di quelli che paiono essere antichi manufatti umani. Solo coincidenze? Intanto c'è da chiedersi il perchè della presenza di un acquedotto in una località "extra moenia", ovvero al di fuori della città? Se in quel posto vi è un acquedotto va da sè che vi fossero insediamenti. Molto strana la distribuzione degli appezzamenti di terreno in alcune aree, come ho sottolineato nella prima immagine qui sotto. Davvero insolita la figura ellittica i cui bordi oggi sono ricalcati da due arterie stradali. Ancora più curiose le altre due forme ellittiche che stranamente hanno le misure standard delle arene degli antichi teatri romani (quella più piccola ha le stesse misure dell'anfiteatro di Sutri). Non mi resta che indagare più a fondo, magari recandomi sul posto. Sfida accettata.












A completare il quadro del mistero vi è ovviamente la già conosciutissima e molto fotografata nonchè raccontata collina cosiddetta Ariella, quella che molti identificano come Piramide di Sant'Agata de Goti, quale in effetti è realmente. Infatti è fuori di dubbio che la collina sia stata plasmata per assumere la forma attuale di piramide. Questa e le altre collinette poco più vicine, gli studiosi sono concordi su questo, presentano delle scanalature sulla propria superficie, ben visibili e fatte dall'uomo. Qualcuno potrebbe obiettare che trattasi di semplici terrazzamenti costruiti nel tempo per adibire ad orti i declivi delle colline, ma è proprio la pendenza delle colline in questione che esclude questa ipotesi, non permette forme di coltivazioni (se non di ulivi ma in alcuni punti specifici e alla loro base). Quello su cui poco si è indagato invece è sull'epoca effettiva in cui queste colline siano state lavorate. Si ritiene che siano opera dei normanni, costruttori effettivi della cittadella medioevale di Sant'Agata (il nome "De Goti" sarebbe, a detta di alcuni storici, derivato da "Drengot", nome del primo feudatario di Sant'Agata,nipote dell'altro normanno Drengot fondatore della contea di Aversa). Escludendo il popolo dei Goti c'è da chiedersi da chi siano stati abitate queste contrade nel passato. Il territorio di Sant'Agata è stato di sicuro abitato fin dai tempi più remoti, quantomeno fin dal tempo della civiltà Sannita (presenza di tombe), per non parlare della presenza di pozzi rivestiti in pietra ad opus reticulatum in località Piana del Mondo e che attingerebbero acqua da un'antico acquedotto romano (come dicono gli abitanti del posto). Strutture architettoniche di epoca romana, quindi.
Una sfera ritrovata a Sant'Agata.
Ma quanto sappiamo veramente della storia dei nostri avi, dei popoli che abitarono la penisolo fin dai più remoti tempi. A detta dello studioso di etimologia del linguaggio, il prof. Salvatore Dedola,  tanti lemmi del mediterraneo testimoniano la presenza di una matrice antico-egiziana oltre accadica e sumera. E' risaputo, fino a prova contraria, che l'homo sapiens abbia avuto origine in Africa e che proprio in Egitto, a detta di alcuni studiosi, vi siano state le prime forme di civiltà (la storiografia ufficiale è discorde su questo argomento) che poi avrebbero risalito il fiume Nilo verso Nord, sfociando nel Mediterraneo e andando a stabilirsi in tutto il mediterraneo e nell'Europa continentale. Che siano questi i popoli che allontanandosi dalla terra natia abbiano conservato l'usanza di leggere gli astri e costruire piramidi? Le piramidi scoperte in Bosnia,  come quella di Sant'Agata, hanno in comune il ritrovamento nei paraggi di grosse sfere di pietra (forse utilizzate per segnare su un pianoro adibito a mappa stellare lo spostamento di astri e pianeti. E se la misteriosa figura ellittica di piana del Mondo fosse un disegno ricalcante un orbita di un qualche pianeta? Oppure la stessa via Lattea? Sono ipotesi campate in aria, tutto qui, non sono nè un esperto, nè uno scrittore di fanta-archeologia. Però i reperti meritano la curiosità di qualche appassionato del settore che s impegni a formulare qualche ipotesi più verosimile.


La collina Airella vista dal satellite



Dettagli delle scanalature sulla collina Ariella
Dettagli delle scanalature sulla collina Ariella

Pozzo di epoca romana in località San Paolo
Pozzo di epoca romana in località San Paolo



lunedì 8 marzo 2021

"Ngoppa 'a la frotografia", un sonetto napoletano del 1854

La fotografia è senza dubbio una delle invenzioni che ha un pò rivoluzionato il mondo della comunicazione e in generale della cultura. A partire dagli anni venti del secolo decimonono fu, grazie all'instancabile contributo dell'inventore Niceforo Niepce, che le prime fotografie, ovvero eliografie, venivano alla luce, rimanendo tuttavia confinate nel solo ambito di studio dell'inventore. 
Tale scoperta infatti aveva il divetto di non riuscire a fissare l'immagine sul supporto finale se non per brevi istanti. Occorreva un rimedio che fissasse sui supporti utilizzati l'immagine che si inquadrava per mezzo di una camera oscura. E a trovarlo, grazie ad un caso fortuito, fu il famoso Daguerre, socio in affari del Niepce che nel frattempo morì non potendo quindi godere dei risultati della scoperta, ovvero dell'utilizzo di lastre d'argento quali supporto per rendere stabili le immagini filtrate dalla camera oscura. Il fenomeno della camera oscura era conosciuto fin dall'antica Grecia, ma a studiarlo e perfezionarlo quale strumento, nel cinquecento, fu il napoletano Giovan Battista della Porta, alchimista. 
La data ufficiale della nascita della fotografia infatti è stata fissata al 7 luglio 1839, data in cui fu presentata all'Accademia delle scienze di Parigi l'invenzione.
Negli stessi giorni, in Inghilterra, tale Talbot andava presentando la sua scoperta della fotografia. Su questi argomenti c'è chi si divide attribuendo la reale nascita della fotografia ai francesi o agli inglesi, ma questa è un'altra storia. Certo è che molti furono gli scontenti per questa nuova scoperta: ritrattisti e pittori di ogni risma che temevano di restare senza lavoro.
Altri invece, sempre tra le fila di pittori, non si lasciarono prendere da sgomento imbracciando il dagherrotipo (la primordiale macchina fotografica brevettata dal Daguerre) e sperimentando la propria creatività. I nomi dei pittori più in famosi diventati fotografi sono molti. 
Serpeggiava tale sentimento anche tra il popolo, qui sotto un documento che lo testimonia.
Un sonetto in lingua napoletana intitolato "Ncoppa 'a la frotografia - ch'into a miezzo minuto fece lo ritratto" scritta da tal De Giulio Genoino e pubblicata sul perioico culturale Poliorama Pittoresco stampato a Napoli nell' Aprile del 1854, ben descrive lo spirito di cui parliamo.


 

sabato 6 marzo 2021

Cappella del Duca di Acerra a Ponteselice (Ponte Selce), un nuovo documento dall'Archivio di Stato.

 




















Lungo il prolungamento della via Appia che dall'antica Capua (Odierna Santa Maria Capua Vetere) conduce a Napoli, possiamo ammirare i ruderi della cappella rurale di Ponteselice, detta "del Duca di Acerra" o "Fosso del Crocifisso", accanto al canalone dei Regi Lagni. I nomi suggeriscono chiaramente l'appartenenza dei terreni feudali su cui insisteva la chiesetta, ai tempi della sua edificazione, al menzionato duca e la sua ubicazione (Fosso del Crocifisso) nelle immediate vicinanze del letto dell'antico fiume Clanio. Tale corso d'acqua nei secoli successivi è stato oggetto di bonifica e regimentazione a causa del suo corso irregolare il quale provocava continui straripamenti, causando paludi e malsani acquitrini nocivi per le popolazioni e avversi alla "buonotenenza" dei fondi agricoli.

Gli affreschi, si presume, sono stati realizzati intorno al XII secolo, ma dal sito sono stati "staccati", per ordine della sovrintendenza, nel 1974. Nella prima immagine c'è il Cristo Benedicente, che si può ammirare al Museo di S. Martino di Napoli (notizia appresa dal sig. Donato Farro di Capodrise, ex propretario del fondo su cui insiste la chiesetta). I Santi raffigurati si trovano nella Reggia di Caserta, presso il Museo dell'Opera.

In rete ho trovato anche una citazione  della località fatta dallo storico e filosofo Benedetto Croce, il quale, nel suo testo "Saggi sulla letteratura italiana del seicento, in una nota a margine del testo ebbe a scrivere: "Ponteselice è un ponte sul « lagno » tra Napoli e Aversa. Non
si ha notizia che vi fosse un paesello abitato; ma forse vi era un gruppo di case. Il luogo conserva ancora questo nome. Si veda su « Ponte a selice » uno scritto di C. Malpjca, nel Poliorama pittoresco,a. I, voi. Il, p. 186" 

La nota ovviamente riporta un errore, poichè il ponte, così come il lagno, si trovano tra Aversa e Santa Maria Capua Vetere e non tra Napoli e Aversa. Ma in ogni caso ci restituisce delle informazioni preziose per poter ulteriormente approfondire la conoscenza del luogo.

Questa porzione di terreni un tempo era parte integrante del feudo di Casignano, quindi Carinaro, quale attualmente appartiene. Di fronte alla chiesetta è possibile ammirare i ruderi di un manufatto in pietra tufacea che un tempo sosteneva una lapide di marmo. Di cosa si tratta?

Da recenti ricerche da me condotte all'archivio di Stato di Caserta, in merito agli usi civici, mi sono imbattuto in una perizia tecnica su alcuni fondi ex feudali fatta da un ingegnere, tale Nicola Emilio Nappi di Napoli, in merito ad una controversia tra alcuni proprietari terrieri (fratelli Migliaccio di Orta) ed il Comune di Gricignano, firmata e datata il 27 Dicembre 1927 in Napoli. Tale perizia, nel descrivere la responsabilità dei vari coloni nel ripulire le aree confinanti alla riva sinistra del canalone dei Regi Lagni, dai fondi di Ponterotto fino a Ponteselice (Ponte Selce), riportava la notizia di una lastra di marmo, in luogo di Ponteselice vicino ai Regi Lagni, incastonata in un manufatto in pietra con una scritta in latino che tradotta recita così:

ESSENDO RE FILIPPO III

ESSENDO VICERE' D. PETRO FERNANDEZ DE CASTRO CONTE

DI LEMOS.

AI VECCHI CANALI DELLE ACQUE TORTUOSI E INTRICATI

E DALL'ALLUVIONE OSTRUITI.

OGNI SPERANZA DI MESSE PER LE ACQUE STAGNANTI

SOMMERGENTI, FATTILI SCAVARE PIU' PROFONDAMENTE

E IN LINEA RETTA E CONNESSI CON ALTRI NUOVI

PER PORTAR VIA QUALSIASI MASSA D'ACQUA.

CON FRUGALE PERIZIA DETTE PIU' LARGO ASSETTO;

E L'ALVEO DI RECENTE CON AUDACE FATICA SCAVATO SPINSE

VINCITORE, NEL MEDITERRANEO,

AFFINCHE' LA VASTA PALUDE RISPLENDA DI MESSI

E PARTENOPE SENTA IN LUI L'AUTORE DELL'ABBONDANZA

ANNO 1616

Così l'ingegnere Nappi descrive il manufatto:

"Nel territorio di Aversa a Ponte Selce, lungo la via nazionale di Roma, si erge sul parapetto stradale nelle vicinanze ai Regi Lagni, due pilastri di pietrarsa uniti da muratura in tufo, rivestita da quadroni pure di pietrarsa in gran parte consumato dal tempo, in cui è murata una grande lastra in marmo nella quale è incisa una iscrizione in latino, del 1616, che viene tradotta come appresso:"


Ogni commento sullo stato di degrado e sull'idea di strappare dalle pareti i preziosi dipinti, seppur in rovina, lasciano il tempo che trovano. Mi auguro che questo mio piccolo contributo possa servire a sensibilizzare qualche animo pio animato da buone intenzioni, presupposti rari in questi tempi cupi ma ancora esistenti, utili a poter animare un sodalizio che prenda in carico la chiesetta e lavori per reperire fondi utili ad un adeguato restauro.

Ponte a Selice, la testimonianza di Cesare Mapica del 1853
Cesare Malpica, scrittore e poeta





venerdì 22 gennaio 2021

La bellezza di Casaluce e dei suoi prestigiosi palazzi

“Bellezza è verità, verità è bellezza. 
Questo è tutto ciò che al mondo sapete,
e tutto ciò che occorre che sappiate.”

versi tratti dalla poesia "Ode su un'urna greca"
di John Keats
Questa ed altre abitazioni bellissime degne di ammirazione si trovano nella piccola città di Casaluce, in Terra di Lavoro, la cui vita è ruotata per secoli attorno alla vita del monastero dei Celestini. E i segni di questa influenza si vedono tutti. Situato nell'antico castello normanno posseduto da Raimondo del Balzo a partire dal 1359 (ma taluni dubitano sia stato costruito in epoca normanna) e da lui donato alla comunità monastica, la vita e l'opera dei seguaci di Pietro da Morrone, il santo eremita poi divenuto Celestino V, hanno plasmato la fisionomia di questa città e delle campagne circostanti, accrescendo la ricchezza sia materiale che spirituale delle anime che vi abitavano. Ora tutto sembra avvolta da una alone di triste abbandono e decadenza, con le periferie abbruttite da edifici di cemento informe, strade brulicanti di gente intenta a correre, senza una meta, senza un fine, così come accade ovunque in tutte le nostre città piccole e medio-grandi. Il senso di pace e di infinito lo si ritrova solo in posti lontani. Eppure non è il rumore e la sua intensità che restituiscono la cifra della pace, bensì un'esistenza carica di senso, una vita i vissuta veramente da esseri umani. Non da animali. Non da macchine. Non da automi che obbediscono ciecamente ad una moda, al luccichio delle vetrine. La nostra epoca privilegia la forma al contenuto, questo è quanto di più dannoso per l'individuo che anela al discernimento. Ci si è avvicinato molto alla bellezza, quindi alla Verità, nel passato. Quanto, quanto sarebbero belle le nostre città, se ritornassero gli esseri umani! 

Curti (Ce) - Antica edicola votiva all'incrocio di via Appia e via Volturno

Nelle foto mostro i ruderi di un'antica edicola votiva, all'angolo dell'incrocio di via Volturno e di via Appia antica, che mi pare ricadere nel comune di Curti, a poche centinaia di metri dall'antico monumento funebre della Conocchia e dalle carceri vecchie.
Potrebbe anche trattarsi di un luogo posto al confine tra Curti e Santa Maria Capua Vetere, e quindi appartenere a quest'ultimo. Sta di fatto che proprio di fronte ai ruderi in questione campeggia, su di un vecchio edificio, la scritta "Curti", ad indicare che da lì in poi ci troviamo su luoghi  e strade appartenenti alla città.
I ruderi sembrano mostrare i resti di un'antica edicola votiva a due facce, ognuna esposta sulla strada in oggetto. Il basamento è di forma triangolare, con una delle estremità che sporge a formare una sorta di cuspide che da inizio alla diramazione delle due strade in oggetto: via Volturno e via Appia antica. Ignoro completamente la storia di questo piccolo monumento, per cui chiedo a chi ne sapesse di più di scrivere nei commenti o in privato all'indirizzo liviotv@gmail.com.
Alla base del monumento, poste al centro del basamento, due cippi marmorei di firma rotonda, forse recuperati da un'antica colonna di qualche monumento di epoca romana. 

venerdì 15 gennaio 2021

Il mistero dell'antica lapide di Camposcino a Giugliano. Spunta l'ipotesi satanista


Su questa piccola stele del diametro di 50 cm per 55 cm circa che si trova apposta in un muro di un edificio storico di via Camposcino in Giugliano è stato scritto di tutto e di più. C'è chi si è spinto ad attribuirne le in parte indecifrabili parole ad un antico idioma pre latino in uso in questi luoghi, chi invece ha avanzato l'ipotesi di una fattura molto più recente, interpretando i caratteri della prima riga quale il numero "1752" stante ad indicarne la data della produzione lapide stessa. Altri ancora la farebbero risalire al periodo carolingio per via della croce celtica scolpita in basso a destra e così via. 

Ecco cosa scrive sull'argomento il professore Pio Iannone, presidente della Pro Loco Giugliano:

"Camposcino: La pietra del mistero

Qualche tempo fà pubblicammo su questa pagina la foto di una pietra murata nell’androne di un fabbricato situato a Camposcino.
Una iscrizione la rendeva, e la rende, un pietra dal testo misterioso.
Se quella che chiamo la “pietra Antinori“, collocata alla Annunziata, ha un testo leggibile, scritto in latino, ma misterioso per la complessità e la incongruenza storica e la strana ubicazione, questa di Camposcino ha il suo primo mistero nell’alfabeto utilizzato.
Il testo si compone di 21 lettere ed una croce a chiusura.
Una prima lettura porterebbe a leggere nella prima riga una data, precisamente quella del 1752.
La seconda riga è stata interpretata come un nome femminile, Nunzia, le terza riga come un cognome, de Rosa, la quarta riga una dedica ad un giovine deceduto, at filio. Rafforzato il tutto dalla rappresentazione della croce a chiusura del testo. Il testo riporterebbe la seguente iscrizione : 1752 Nunzia de Rosa al figlio +.
Una sorta di lastra tombale.
In verità, osservandola con calma, alcune cose non tornano.
Non sono un esperto di lingue e nemmeno un epigrafista per cui ho dato vita ad un semplice ragionamento che spera di suscitare il qualcuno dei nostri lettori la voglia di dare una risposta a questo mistero.
Ci sta una croce a chiusura della iscrizione. È il dato certo che la colloca in ambito religioso Cristiano. Probabilmente dopo il V secolo.
Sigilla la epigrafe.
Arriviamo alla lettere incise. Nella lettura accettata la terza lettera del primo rigo sarebbe un numero, il 7, per la precisione, ma questa raffigurazione cambierebbe funzione nella seconda riga diventando una lettera la Z del nome Nunzia.
Questo già fa suonare un campanello di allarme che diventa più forte dall’esame della quarta lettera del primo rigo, quella che dovrebbe rappresentare un numero, il 2 per la precisione. Mai il numero 2 è stato rappresentato in tal modo. Ho fatto una veloce verifica sugli alfabeti antichi. Una operazione che ho effettuato per tutte le lettere che compongono questa epigrafe. Se tutte hanno basi negli alfabeti greco e/o latino questa in particolare non risulta in nessuno di quelli che ho consultato. Se avesse il tratto in basso a sinistra, speculare all’altro, sarebbe una omega greca ma non ci sta e, quindi, unica somiglianza da me trovata e nella pronunzia Armena della N. Nessuno sorrida gli Armeni erano parte una parte dei Greci che stavano a Napoli, si ricordi il convento di san Gregorio Armeno.
L’altra anomalia che si riscontra è data dalla terza lettera dell’ultima riga interpretata come un 8. Se la interpretazione è esatta e non si tratta del resto di qualche cosa consunta dal tempo allora ci troviamo nei confronti della lettera F cosi rappresentata negli alfabeti osco e etrusco.
Preciso per scrupolo che, su suggerimento di Francesco Russo, ho consultato il Catasto Onciario del 1753 e non è presente alcuna Nunzia De Rosa. Ho controllato i registri dei funerali delle parrocchie sia per l’anno 1751 che 1752 e non è presente alcun giovinetto definito figlio di una Nunzia, nei registro il cognome materno, salvo rari casi non è riportato.
Ripubblico la foto della pietra di Camposcino sperando che qualcuno possa fornire lumi o chiarimenti su questo mistero che da troppi anni aspetta di essere svelato."
Fine della citazione

Quando ho visto per la prima volta le foto di questa lapide ho iniziato a fantasticare pure io, ma non potevo far altro che chiedere a chi più di me ne potesse sapere. Mi sono rivolto quindi ad un esperto di lingue antiche, il professor Salvatore Dedola, che in una conversazione così mi ha risposto:


"Penso anch'io che la lapide sia medievale. La lettera in alto a dx è identica alla TH ebraica, e si ritrova capovolta nella seconda riga. Anche la N si ritrova capovolta, e pure la S. Quella non è la prima lapide italica ad essere illeggibile. Non la è, almeno a mio avviso, poiché furono numerosi i satanisti che si divertivano a giocare con le lettere alfabetiche ed a mischiarne le provenienze, al fine di saziare le illusioni del loro cervello malato. Normalmente quella era gente ignorante, ma come tutti i satanisti, anche quel lapicida si credette un genio nell'andare a celare al lettore le proprie intenzioni, che nella sua immaginazione aumentavano il valore magico, mentre nella mia immaginazione quel bel tipo abbisognava soltanto della camicia di forza."

Nessun dubbio quindi sull'origine medioevale della lapide per il prof. Dedola. E per quanto riguarda il significato delle scritte saremmo di fronte ad una pura operazione di burloneria con contenuti "non sense", per dirla alla francese, oppure di fronte ad una sorta di maleficio di ispirazione satanica.