venerdì 22 gennaio 2021

La bellezza di Casaluce e dei suoi prestigiosi palazzi

“Bellezza è verità, verità è bellezza. 
Questo è tutto ciò che al mondo sapete,
e tutto ciò che occorre che sappiate.”

versi tratti dalla poesia "Ode su un'urna greca"
di John Keats
Questa ed altre abitazioni bellissime degne di ammirazione si trovano nella piccola città di Casaluce, in Terra di Lavoro, la cui vita è ruotata per secoli attorno alla vita del monastero dei Celestini. E i segni di questa influenza si vedono tutti. Situato nell'antico castello normanno posseduto da Raimondo del Balzo a partire dal 1359 (ma taluni dubitano sia stato costruito in epoca normanna) e da lui donato alla comunità monastica, la vita e l'opera dei seguaci di Pietro da Morrone, il santo eremita poi divenuto Celestino V, hanno plasmato la fisionomia di questa città e delle campagne circostanti, accrescendo la ricchezza sia materiale che spirituale delle anime che vi abitavano. Ora tutto sembra avvolta da una alone di triste abbandono e decadenza, con le periferie abbruttite da edifici di cemento informe, strade brulicanti di gente intenta a correre, senza una meta, senza un fine, così come accade ovunque in tutte le nostre città piccole e medio-grandi. Il senso di pace e di infinito lo si ritrova solo in posti lontani. Eppure non è il rumore e la sua intensità che restituiscono la cifra della pace, bensì un'esistenza carica di senso, una vita i vissuta veramente da esseri umani. Non da animali. Non da macchine. Non da automi che obbediscono ciecamente ad una moda, al luccichio delle vetrine. La nostra epoca privilegia la forma al contenuto, questo è quanto di più dannoso per l'individuo che anela al discernimento. Ci si è avvicinato molto alla bellezza, quindi alla Verità, nel passato. Quanto, quanto sarebbero belle le nostre città, se ritornassero gli esseri umani! 

Curti (Ce) - Antica edicola votiva all'incrocio di via Appia e via Volturno

Nelle foto mostro i ruderi di un'antica edicola votiva, all'angolo dell'incrocio di via Volturno e di via Appia antica, che mi pare ricadere nel comune di Curti, a poche centinaia di metri dall'antico monumento funebre della Conocchia e dalle carceri vecchie.
Potrebbe anche trattarsi di un luogo posto al confine tra Curti e Santa Maria Capua Vetere, e quindi appartenere a quest'ultimo. Sta di fatto che proprio di fronte ai ruderi in questione campeggia, su di un vecchio edificio, la scritta "Curti", ad indicare che da lì in poi ci troviamo su luoghi  e strade appartenenti alla città.
I ruderi sembrano mostrare i resti di un'antica edicola votiva a due facce, ognuna esposta sulla strada in oggetto. Il basamento è di forma triangolare, con una delle estremità che sporge a formare una sorta di cuspide che da inizio alla diramazione delle due strade in oggetto: via Volturno e via Appia antica. Ignoro completamente la storia di questo piccolo monumento, per cui chiedo a chi ne sapesse di più di scrivere nei commenti o in privato all'indirizzo liviotv@gmail.com.
Alla base del monumento, poste al centro del basamento, due cippi marmorei di firma rotonda, forse recuperati da un'antica colonna di qualche monumento di epoca romana. 

venerdì 15 gennaio 2021

Il mistero dell'antica lapide di Camposcino a Giugliano. Spunta l'ipotesi satanista


Su questa piccola stele del diametro di 50 cm per 55 cm circa che si trova apposta in un muro di un edificio storico di via Camposcino in Giugliano è stato scritto di tutto e di più. C'è chi si è spinto ad attribuirne le in parte indecifrabili parole ad un antico idioma pre latino in uso in questi luoghi, chi invece ha avanzato l'ipotesi di una fattura molto più recente, interpretando i caratteri della prima riga quale il numero "1752" stante ad indicarne la data della produzione lapide stessa. Altri ancora la farebbero risalire al periodo carolingio per via della croce celtica scolpita in basso a destra e così via. 

Ecco cosa scrive sull'argomento il professore Pio Iannone, presidente della Pro Loco Giugliano:

"Camposcino: La pietra del mistero

Qualche tempo fà pubblicammo su questa pagina la foto di una pietra murata nell’androne di un fabbricato situato a Camposcino.
Una iscrizione la rendeva, e la rende, un pietra dal testo misterioso.
Se quella che chiamo la “pietra Antinori“, collocata alla Annunziata, ha un testo leggibile, scritto in latino, ma misterioso per la complessità e la incongruenza storica e la strana ubicazione, questa di Camposcino ha il suo primo mistero nell’alfabeto utilizzato.
Il testo si compone di 21 lettere ed una croce a chiusura.
Una prima lettura porterebbe a leggere nella prima riga una data, precisamente quella del 1752.
La seconda riga è stata interpretata come un nome femminile, Nunzia, le terza riga come un cognome, de Rosa, la quarta riga una dedica ad un giovine deceduto, at filio. Rafforzato il tutto dalla rappresentazione della croce a chiusura del testo. Il testo riporterebbe la seguente iscrizione : 1752 Nunzia de Rosa al figlio +.
Una sorta di lastra tombale.
In verità, osservandola con calma, alcune cose non tornano.
Non sono un esperto di lingue e nemmeno un epigrafista per cui ho dato vita ad un semplice ragionamento che spera di suscitare il qualcuno dei nostri lettori la voglia di dare una risposta a questo mistero.
Ci sta una croce a chiusura della iscrizione. È il dato certo che la colloca in ambito religioso Cristiano. Probabilmente dopo il V secolo.
Sigilla la epigrafe.
Arriviamo alla lettere incise. Nella lettura accettata la terza lettera del primo rigo sarebbe un numero, il 7, per la precisione, ma questa raffigurazione cambierebbe funzione nella seconda riga diventando una lettera la Z del nome Nunzia.
Questo già fa suonare un campanello di allarme che diventa più forte dall’esame della quarta lettera del primo rigo, quella che dovrebbe rappresentare un numero, il 2 per la precisione. Mai il numero 2 è stato rappresentato in tal modo. Ho fatto una veloce verifica sugli alfabeti antichi. Una operazione che ho effettuato per tutte le lettere che compongono questa epigrafe. Se tutte hanno basi negli alfabeti greco e/o latino questa in particolare non risulta in nessuno di quelli che ho consultato. Se avesse il tratto in basso a sinistra, speculare all’altro, sarebbe una omega greca ma non ci sta e, quindi, unica somiglianza da me trovata e nella pronunzia Armena della N. Nessuno sorrida gli Armeni erano parte una parte dei Greci che stavano a Napoli, si ricordi il convento di san Gregorio Armeno.
L’altra anomalia che si riscontra è data dalla terza lettera dell’ultima riga interpretata come un 8. Se la interpretazione è esatta e non si tratta del resto di qualche cosa consunta dal tempo allora ci troviamo nei confronti della lettera F cosi rappresentata negli alfabeti osco e etrusco.
Preciso per scrupolo che, su suggerimento di Francesco Russo, ho consultato il Catasto Onciario del 1753 e non è presente alcuna Nunzia De Rosa. Ho controllato i registri dei funerali delle parrocchie sia per l’anno 1751 che 1752 e non è presente alcun giovinetto definito figlio di una Nunzia, nei registro il cognome materno, salvo rari casi non è riportato.
Ripubblico la foto della pietra di Camposcino sperando che qualcuno possa fornire lumi o chiarimenti su questo mistero che da troppi anni aspetta di essere svelato."
Fine della citazione

Quando ho visto per la prima volta le foto di questa lapide ho iniziato a fantasticare pure io, ma non potevo far altro che chiedere a chi più di me ne potesse sapere. Mi sono rivolto quindi ad un esperto di lingue antiche, il professor Salvatore Dedola, che in una conversazione così mi ha risposto:


"Penso anch'io che la lapide sia medievale. La lettera in alto a dx è identica alla TH ebraica, e si ritrova capovolta nella seconda riga. Anche la N si ritrova capovolta, e pure la S. Quella non è la prima lapide italica ad essere illeggibile. Non la è, almeno a mio avviso, poiché furono numerosi i satanisti che si divertivano a giocare con le lettere alfabetiche ed a mischiarne le provenienze, al fine di saziare le illusioni del loro cervello malato. Normalmente quella era gente ignorante, ma come tutti i satanisti, anche quel lapicida si credette un genio nell'andare a celare al lettore le proprie intenzioni, che nella sua immaginazione aumentavano il valore magico, mentre nella mia immaginazione quel bel tipo abbisognava soltanto della camicia di forza."

Nessun dubbio quindi sull'origine medioevale della lapide per il prof. Dedola. E per quanto riguarda il significato delle scritte saremmo di fronte ad una pura operazione di burloneria con contenuti "non sense", per dirla alla francese, oppure di fronte ad una sorta di maleficio di ispirazione satanica. 






 

giovedì 14 gennaio 2021

Antica chiesetta rurale di Ponteselice, detta del Duca di Acerra

Affreschi della chiesetta rurale di Ponteselice, detta del Duca di Acerra o Fosso del Crocifisso, accanto al canalone dei regi lagni, lungo l'antica via Appia che da Capua conduce verso Napoli. Gli affreschi si presume siano stati realizzati intorno al XII secolo, ma furono "staccati" dalla sovrintendenza nel 1974. Nella prima immagine c'è il Cristo Benedicente, che si può ammirare al Museo di S.Martino di Napoli. I Santi raffigurati si trovano nella Reggia di Caserta, presso il Museo dell'Opera. Questa porzione di terreni ricade sotto il comune di Carinaro. Una chiesetta che ha visto tanta storia e tanti viandanti, proprio qui, su quella che dagli antichi venniva definita la "regina viarum". Lo stato di totale abbandono ed incuria non le rendono giustizia, meriterebbe una messa in sicurezza e magari, grazia al buon cuore di fedeli del posto, un adeguato intervento di restauro.

Un grazie per la Segnalazione e le foto a Donato Farro, erede degli antichi proprietari della chiesetta rurale.

"Ponteselice è un ponte sul « lagno » tra Napoli e Aversa. Non
si ha notizia che vi fosse un paesello abitato; ma forse vi era un gruppo di case. Il luogo conserva ancora questo nome. Si veda su « Ponte a selice » uno scritto di C. Malpjca, nel Poliorama pittoresco,
a. I, voi. Il, p. 186"
Nota a margine di un testo sulla letteratura del seicento di Benedetto Croce "SAGGI SULLA LETTERATURA ITALIANA DEL SEICENTO"
La nota ovviamente riporta un errore, il ponte, così come il lagno, si trovano tra Aversa e Santa Maria Capua Vetere...



 

Arturo Lepori, promessa del ciclismo italiano morto prematuramente a Santa Maria Capua Vetere

La passione dei casoriani per il ciclismo ha radici ben profonde: siamo negli anni ’20, in cui spicca una figura di nota importanza del panorama del ciclismo casoriano, ovvero Arturo Lepori. Nativo della città di Casoria, Lepori era famoso per il suo animo gentile e per la sua passione per le corse in bicicletta. La sua vita, però, si interruppe tragicamente in un incidente mentre correva, con la sua bici, una delle tappe della Coppa Caivano, precisamente il 30 aprile del 1922. Durante il percorso, a Santa Maria Capua Vetere, pieno di polvere e caratterizzato da strade tortuose, Arturo perse qualsiasi speranza, perse la sua vita, inaspettatamente. La notizia sconvolse tutti, lasciando rammaricati e tristi dell’avvenimento. L’animo casoriano si fece sentire: l’onda di immensa commozione fece sì che si organizzasse il primo Trofeo Arturo Lepori, il quale prese vita nel luglio del 1923: il percorso prevedeva 170 chilometri con partenza e arrivo dalla città di Casoria, in onore di Lepori. Le tappe fondamentali erano rappresentate dal passaggio presso il Belvedere di San Leucio (Caserta), Roccamonfina, fino ad arrivare in città; l’iniziativa riscosse parecchio successo specialmente negli anni ’50. Tra le figure di rilievo spicca Livio Trapè, vincitore del Trofeo Lepori nel 1959, Ercole Baldini, il quale partecipò anche alle Olimpiadi di Melbourne nel 1956, Diego Ronchini vincitore nel 1955, Benito Romagnoli, invece, nel 1954, poco prima di partecipare al Giro d’Italia del 1956-1959. La corsa in onore del ciclista casoriano per eccellenza, riunì appassionati e non fino al 1975: da quell’anno, purtroppo, non fu mai più organizzata. Un vero gesto di solidarietà ma soprattutto di rispetto e onore che contraddistingue il popolo casoriano.